SCRITTORI E GUSTO URBANO FRA SETTECENTO E OTTOCENTO
di: Francesco Iengo a cura di Mario Della Penna
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Capitolo VIII (I parte)

IL SETTECENTO E I "CENTRI STORICI"

Nel 1728, Montesquieu raggiunge san Pietro attraverso l'antico rione di Borgo (che, tagliato dalle due strette vie di Borgo Vecchio e Transpontina, si stendeva da Castel Sant'Angelo al colonnato di Bernini), e scrive:

«Che somma immensa è costata la chiesa di San Pietro sotto tanti papi! dicono che solo il colonnato è costato 800.000 scudi. Non credo. Ci sono vari progetti. Alcuni vorrebbero che si demolissero le case che si trovano fra le due strade, fino al Tevere, e che si continuassero le due file di colonne. Ma si teme che abbattendo queste case, i cui fuochi purificano l'aria, si nuoccia all'aria del quartiere di San Pietro, che è il più basso della città». (185).

Il "progetto" cui allude Montesquieu, è quello cui verrà data esecuzione due secoli dopo, coll'apertura dell'attuale Via della Conciliazione. Ma ciò che a noi interessa di più è che, in questo passo, restano definite, simultaneamente, due cose: 1) l'intervento settecentesco sui cosiddetti "centri storici", si basa sulla norma secondo cui le "grandi architetture" vanno isolate da tutte le eventuali "vicinanze plebee" 2) tutto ciò porta al fraintendimento completo di quelle "grandi architetture" specialmente nei casi in cui, come a San Pietro, esse presuppongono proprio quel genere di vicinanze.

Scrive Giulio Carlo Argan:

«Per Bernini San Pietro da nessun punto di vista si doveva vedere. Esso non si presentava come un organismo chiuso, ma come una successione e variazione continua di prospettive e di aperture spaziali. Come ogni spettacolo aveva i suoi tempi di sviluppo. E' fatto per il visitatore che lo percorre, si aggira. Ogni nuova prospettiva si coordina a quelle vedute, prepara le prossime. L'ammirazione diventa un gioco di memoria e di immaginazione. Insomma per Bernini la basilica vaticana è più da immaginare che da vedere!»  

In sostanza, sia la grandezza di san Pietro, sia la vastità della Piazza, sia, soprattutto, il colonnato di Bernini, dovevano rispondere ad una evidente filosofia generale da Ecclesia Triunphans, e ad una connessa poetica architettonica del "meraviglioso". il colonnato che non si chiude, poi, doveva sicuramente alludere alle "braccia" materne della Chiesa, che non si chiudono a chi voglia ad essa ricorrere: "venite ad me omnes...". Ora, tutta questa simbologia poteva tanto più raggiungere una sua efficacia quanto più il "pellegrino" veniva condotto al cospetto di San Pietro e della sua piazza, colmo gli occhi delle stranezze e angustie di Borgo, appena attraversato: è soprattutto Bernini a costruire la sua "grande architettura" in funzione dei vicini "tuguri" ed è quanto, appunto, il progetto alluso da Montesquieu, ed a cui questi non sembra contrastare se non con un'obbiezione di tipo igienico (d'un illuminismo direi "pariniano"), distrugge alla radice (186).

Manco a dire che a tale progetto accenna anche de Brosses nel 1739:

«La via più breve per andare da Piazza di Spagna a San Pietro (...) non dà grande idea di Roma. Si attraversa una serie di vie mal costruite; appena al ponte Sant'Angelo ci si comincia ad orizzontare. (Ma una volta arrivati a ponte Sant'Angelo...) date al più presto i vostri ordini, perchè tutto lo spazio dal ponte al colonnato venga aperto, siano abbattute le brutte casupole che separano la via Borgo Vecchio dalla via Transpontina, e su questo terreno venga tracciato un bel viale alberato, oppure, se si vuole spendere, un colonnato. Comunque sia, è necessario cambiare o dare qualche ornamento a questa brutta piazza quadrata (la piazza Rusticucci, oggi difatti scomparsa) che costituisce una specie di ridicola coda alla piazza rotonda, che è invece la più superba dell'universo, almeno credo» (187).

Per quanto riguarda specificamente il colonnato, de Brosses chiarisce, dunque, che esso avrebbe potuto essere disposto lungo la grande strada ricavata dalla distruzione di Borgo, mentre la frase di Montesquieu - "alcuni vorrebbero (...) che si continuassero le due file di colonne" - poteva anche alludere ad una pura e semplice chiusura del colonnato berniniano (188).

Nell'uno e nell'altro caso, avremmo assistito al medesimo scempio della filosofia originaria di piazza San Pietro: il colonnato lungo la strada avrebbe neutralizzato in gran parte la "meraviglia" del colonnato berniniano apparente d'improvviso in mezzo ad architetture incommensurabilmente più povere e di più povero materiale, mentre il colonnato eventualmente chiuso alla Montesquieu, avrebbe letteralmente rovesciata la simbologia dell'Ecclesia Mater, riducendo questa ad istituzione recintata, se non assediata addirittura.  

Il progetto, tuttavia, non tramonta, e non basterà nemmeno il romanticismo a farlo tramontare. Anzi, qualche personalità intellettuale che certo non è più settecentesca, mostrerà di esservi comunque sensibile. E' Rosario Assunto a ricordare un passo di Corinne ou l'Italie (siamo nel 1807), in cui M.me De Stael "anticipa con la fantasia uno dei più sciagurati misfatti della Roma di oggi", ovvero l'apertura, avvenuta nel 1950, di via della Conciliazione appunto (189). Il passo in questione è il seguente:

«Andando a San Pietro, essi (Corinna e lord Nevil) si fermarono davanti a Castel Sant'Angelo (...) E' da qui, disse Corinna, che si dovrebbe vedere San Pietro, ed è fin qui che dovrebbero estendersi le colonne che lo precedono: questo era il superbo progetto di Michelangelo; egli sperava che lo si realizzasse almeno dopo di lui; ma gli uomini del nostro tempo non pensano più alla posterità» (190).

Dove, fra l'altro. M.me De Stael riedita neoclassicamente anche l'idea del colonnato di de Brosses lungo la strada, anche se sparisce quella del "bel viale alberato".

E addirittura nel 1828, accenna alla "sistemazione" di Borgo Stendhal:

«Questa mattina, quando il nostro calesse è sboccato da ponte Sant'Angelo, abbiamo scorto San Pietro in fondo ad una stretta strada. Napoleone aveva annunciato il progetto di festeggiare la propria entrata in Roma con l'acquisto e la demolizione di tutte le case che sono a sinistra di questa strada. Disse una volta che quel decreto sarebbe stato emanato da suo figlio; ma il mondo s'è rimesso al passo, e il regime costituzionale è troppo saggio per fare spese così folli» (191).

Anche se non lo dice esplicitamente, Stendhal approva l'intenzione napoleonica, ed è disposto a comprenderne l'insabbiamento solo in base a considerazioni d'ordine economico: proprio come, cent'anni esatti prima, Montesquieu - alla cui ottica in fondo siamo fermi, per quanto riguarda il punto specifico - discuteva il progetto solo sulla base d'un discorso d'igiene. E del resto, a parte il citato disprezzo per il travertino, Stendhal è anche colui che, a Napoli, dopo aver definita senz'altro "mauvaise" (cattiva) l'architettura complessiva della città, avanza l'idea che "bisognerebbe radere al suolo questo Castel-Nuovo, enormemente brutto, e farne un giardino sul lungomare" (192), mentre di nuovo a proposito di San Pietro a Roma, afferma che, per l'effetto della Basilica, sarebbe meglio che il palazzo Vaticano (sulla destra di chi guarda) semplicemente non esistesse (193). Sostanziosi residui di "Settecento", insomma, anche in Stendhal.


(185) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p. 197.

(186) Questa poetica la comprende invece alla perfezione, ritrovandola in Toscana, TEODOR W. ADORNO, che la descrive così: "Sulla fisionomia delle città toscane: piazze del Duomo grandiose, d'imponente architettura, talvolta compaiono di colpo, senza preannuncio, nell'intrico di strade - ve ne sboccano anche di desolatissime. Lo splendore che si abbassa fino alla miseria illustra immediatamente, prima di ogni simbolismo, il miracolo e la grazia che sono la sua lezione". (cfr. Taccuino lucchese - 1963 - oggi in trad. it. in Parva Aestetica. Saggi 1958-1967, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 131. Per quanto riguarda la Piazza di San Pietro in particolare, pagine essenziali in CESARE BRANDI, La prima architettura barocca P. da Cortona, Borromini, Bernini, Bari, Laterza, 1981 (I ed. 1970), pp. 142-149.

(187) CHARLES DE BROSSES, op. cit., p. 322. Anche il nostro marchese G.B. MALASPINA (cfr. ALESSANDRO D'ANCONA, cit., p. 283-284) lamenterà che la superba piazza di S. Pietro non sia preceduta da "nobili vie", e vorrebbe che vi provvedesse Pio VI, allora regnante, "anzichè far scolpire in marmo migliaia di volte le armi di sua casa per tutto lo Stato romano". E' la stessa ideologia di de Brosses a proposito della mancata sistemazione del Tevere.

(188) Anche Bernini, peraltro, s'era posto un problema del genere, vale a dire quello del "terzo braccio" di colonnato, il quale però non avrebbe dovuto affatto semplicemente proseguire la linea dei due esistenti, ma formare coma una specie di portico spostato verso la piazza Rusticucci, e comunque affiancato da due ampi varchi in corrispondenza delle due strade di Borgo.

(189) ROSARIO ASSUNTO, saggio cit., p. 211

(190) M.ME DE STAEL, op. cit., pp. 60-61 (libro IV, cap. III). 

(191) STENDHAL, Promenades dans Rome, cit., vol. I, p . 110-111.

(192) Ibid. vol. II, p. 134. Da notare, invece, che il Maschio Angioino era stato giudicato una "bella costruzione" da VON ASP (cfr. FRANCESCO PETROSELLI, art, cit., p. 66)

(193) STENDHAL, Promenades dans Rome, cit., vol. I, p. 222.


Theorèin - Marzo 2007